Biografia breve di Eleonora
Due cose dai genitori: Ali e Radici
L’eredità artistica che rende particolare Eleonora, è fatta così, proviene dal cielo da parte del padre. Riccardo, ultimo “Pioniere” del volo vivente, fondatore di una scuola di volovelismo e ideatore del primo ATZ italiano riconosciuto, riservato agli alianti, l’aeroporto di Alzate Brianza. I primi due esseri umani ad atterrare, con un “fuori campo”, in quello che all’epoca era solo fazzoletto di terra tra i laghi, tempestato dalle talpe, furono loro, lei aveva allora solo 8 anni, ma già pilotava in doppio comando col padre. Sempre attivissimo nel proselitismo del volo veleggiato italiano, ha finito per coinvolgere con la sua passione tutta la famiglia, prima il di lui fratello, Leonardo, più volte campione mondiale europeo ed italiano, poi i figli e nipoti. Ai suoi tempi era stato campione anche Riccardo, aveva iniziato a volare con i primi libratori a 17 anni, quando si veniva lanciati in volo dai verricelli, e annovera tra le insegne della Federazione Aeronautica Internazionale, il primo “C d’oro” italiano. L’idea del padre di fare del volo a vela, una scuola di vita, per Eleonora è diventata realtà. Prima di nascere già volava nella pancia della madre, e a pochi mesi accompagnava il padre, in braccio alla madre, alle manifestazioni acrobatiche. Ha sempre visto il cielo dal cielo, tanto da non poter ricordare la prima volta che ha volato, la sensazione che l’uomo potesse volare è nata con lei.
Crescendo sui campi di volo, ha sviluppato un sesto senso speciale per tutte le correnti invisibili, che si tratti di aria calda o di moti interiori dell’anima non fa molta differenza. Volando ha imparato semplicemente a riconoscerle e non ha potuto fare a meno di seguirle. Forse per questo ha finito per prendere a fondamento della propria vita, non le certezze materiali, bensì tutte quelle cose sottili e fluttuanti come l’aria, che per tanti esistono come le nubi, solo se condensando, diventano visibili ai loro occhi. Si può fare tutto con l’aliante, ma bisogna che le condizioni lo permettano. Questo le ha insegnato ad anticipare sempre i tempi, a prevedere l’evoluzione delle tendenze, vedere le strade quando ancora non ci sono è come riconoscere una termica prima che le nubi si siano formate. Diventare tutt’uno con le forze che governano il cielo, per lei significa essere in grado di rintracciare le stesse forze nel mondo degli uomini, attraverso l’arte e l’incontro quotidiano con la gente. In senso spirituale e fisico suo padre le ha lasciato la sua prima eredità: le ali.
È un Acquario che ha sviluppato le piene caratteristiche del segno, anticonformista, poliedrica e versatile, proiettata in avanti, e verso gli altri, una creativa che vive consapevolmente la sua Era. Aria, in movimento nell’aria. Non ha paura del vuoto e delle altezze, per lei sono due misure, riconvertibili in velocità e distanza, le forze dell’aria che più la mettono a suo agio.
A sei anni, sul libro di Richiard Bach, il gabbiano Jonathan Livingston, scrive con calligrafia ancora incerta, “questo è il libro più bello che ho letto”. Prende il brevetto dispiegando le sue ali a soli 16 anni, e pochi mesi dopo consegue, con un aliante difficile, prototipo della vecchia generazione, l’E.C.200, la sua prima insegna sportiva, il C. d’argento. È il più giovane “C. d’argento” e brevetto italiano femminile. La passione per il volo la coinvolge al punto da voler presentare domanda per entrare in Accademia Aeronautica. La domanda, nonostante l’ottimo punteggio, portato dal brevetto e dai risultati scolastici, viene respinta dal Ministero per “mancanza di infrastrutture tecniche adeguate”, ma Eleonora conduce una piccola battaglia per dimostrare che il diritto di una donna a partecipare ad un concorso è pari a quello di un uomo. Terminato il liceo scientifico rilancia il suo sogno puntando alle stelle, sogna segretamente di andare nello spazio e per questo si iscrive all’università di Milano, al corso di fisica e matematica, puntando verso l’astronomia. Contemporaneamente comincia però a lavorare, per mantenersi agli studi. È qui che riaffiora il sogno materno dell’arte e dello spettacolo. Un sogno sempre tappezzato di nubi o di cieli stellati.
Mariateresa, sua madre, le ha lasciato invece in eredità le radici, la terra, la tradizione, la volontà di collegare il passato al futuro.
Era figlia di un ufficiale di carriera conosciuto da Eleonora come il “nonno generale”. Nato in una famiglia di contadini dell’arido ed impervio entroterra ligure, il nonno, ultimo di sette figli, non si arrende alle ristrettezze e realizza con grande determinazione i suoi scopi. I 10 chilometri quotidiani a piedi per raggiungere la scuola elementare, con le scarpe in mano per non consumarle, lo temprano. Le due lauree, la scuola di guerra e la sua vita in prima linea, lo portano nell’arco di tre guerre e cinque Campagne, ad essere pluridecorato, Medaglia al Valore, Croce di Malta, e Generale di Corpo D’Armata come Grand’Ufficiale Francesco Ronco. Il fascino del nonno, la sua loquela e conoscenza della storia, uniti al senso dell’onore, alla fede e al carisma, influenzano profondamente l’infanzia di Eleonora con uno stoicismo non comune solitamente al mondo femminile, appartenuto però per tradizione a tutte le donne della parte materna. Angela, la nonna e la Mamma hanno rinunciato a tutto per la famiglia e sofferto gli stenti della guerra quando il padre era dato per disperso.
Per questo la madre, nonostante l’inclinazione naturale e il dono del canto e della musica, non considera “possibile” per se stessa la via dell’arte, la vede troppo lontana dal mondo in cui ha sempre vissuto. Appena diplomata al conservatorio, oltre a suonare il pianoforte, entra a far parte dei madrigalisti Bolognesi e incide il suo primo disco, ma i continui trasferimenti legati alla carriera militare del padre e le idee conservatrici della famiglia, le impediscono di confessare il suo sogno. Rinuncia per amore di Riccardo al mondo dello spettacolo, e decide di dedicarsi totalmente alla famiglia e ai suoi tre figli.
Eleonora osserva la madre e le legge in cuore, segretamente, un desiderio inespresso. Vede come si trasforma quando nei momenti di libertà riesce a liberare la sua arte attraverso la pittura, che diventa il mondo della sua sopravvissuta espressione artistica personale. Dipinge la notte, a lume di candela, dopo aver sparecchiato la tavola, per ritrovare sé stessa. Eleonora impara da lei la pittura, la studia nei gesti ispirati, nell’entrare della madre in un mondo parallelo, riconosce, in ascolto nei silenzi di ricerca e nei rivoli di fumo che salgono nell’aria tra i pastelli fusi dalla fiamma, che usa per i suoi quadri, un mondo di immagini che prendono forma dalle profondità di un’anima comune.
Eleonora, sua unica figlia femmina, vorrebbe essere come lei, saper cantare, suonare dipingere, ma anche diventare “il figlio” prediletto del padre e realizzarsi nel mondo degli uomini. Con lui, cresciuto in maniera spartana e circondato da altri due figli maschi, Eleonora non riesce invece a rivelarsi come donna, vive la sua infanzia e parte dell’adolescenza camuffata da maschiaccio, forse per non mettere a disagio un padre sempre un po’ imbarazzato di fronte a quell’inafferrabile e misterioso universo femminile. In questa polarità Eleonora cerca spontaneamente l’equilibrio che soddisfi entrambi i genitori, senza alcuna richiesta, solo per gratitudine verso di loro.
Vorrebbe realizzarsi nell’arte, per compensare le rinunce e le sofferenze della madre. Nonostante la vita domestica, in quest’ultima sopravvive, ancora in squarci improvvisi, il demone ribelle, il duende che anima ogni vero artista, Eleonora ne rimane contagiata e lo coltiva in sé con la stessa segreta aspirazione, ma con la determinazione paterna di trovare prima o poi il modo di liberarlo.
Il sogno dell’indipendenza economica e il miraggio della libertà la attraggono, non volendo chiedere aiuto in casa, per non aggravare il peso di una famiglia “onerosa” si dedica alla parsimonia e comincia a lavorare prestissimo. Viste le frequentazioni volovelistiche, s’inventa dai 16 ai 18 anni, il ruolo di sarta per alianti. Disegna progetta e cuce in casa, con la mitica Necchi B.U. della madre, delle morbide copertine, centinala di metri di stoffe bianche e argentate per avvolgere gli alianti. Bagna le pezze intere di tessuto, che compra all’ingrosso, nell’unica vasca da bagno, perennemente occupata, poi e le stende dal balcone dell’ottavo piano fin quasi a toccare il cortile, nonostante le proteste dei coinquilini che vedono piovere dal cielo inspiegabili tende che ad intermittenza oscurano il cielo nelle rare giornate di sole.
Il taglio dei tessuti avviene poi nel laboratorio outdoor, sul prato dell’aeroporto, sagomare i 21 o 15 metri d’apertura alare, nel piccolo appartamento di Milano, sarebbe altrimenti impossibile. Tra lo studio del liceo scientifico, il volo, l’atletica leggera e il pattinaggio artistico, che prendono quasi tutto il suo tempo libero Eleonora per il suo lavoro extra, impiega spesso le ore della notte, ma si trova la mattina con dei furibondi mal di schiena. Le ore alla macchina da cucire non le sembrano redditizie da nessun punto di vista, e appena compiuta la maggiore età e con essa il diritto ad “uscire di casa” si cerca, per lavoro, qualcosa che le lasci più tempo per lo studio all’università. Il pattinaggio le porta i primi spot pubblicitari, ma le sembra di toccare il cielo con un dito quando per una stagione in uno show room le offrono quello che suo padre guadagnava come dirigente del gruppo fiat in un mese. Lui le fa una sola domanda: “Onestamente…?!” Lei risponde a tono “Certo, vogliono anche la fattura!”
Chi fa da se fa per tre
Entrare nel mondo del lavoro dopo aver digerito positivamente una famiglia militaresca dove non c’erano diritti, ma molti doveri e dove in situazioni di emergenza il padre chiedeva che si rispondesse a una chiamata con : “comandi!” fu molto facile.
Eleonora non si tira mai indietro, anzi si sporge spesso oltre la balaustra non avendo paura del vuoto. Si trova presto a unire il ruolo di indossatrice a quello di venditrice, quando si trova magari inspiegabilmente da sola in uno stand di Milano Vende Moda con i clienti. Si improvvisa. Da modella ad interprete, da interprete ad esperta commerciale, ordini, taglie, cartelle colori, suggestiona i clienti e vende. Poi capisce che ha venduto anche qualcosa che non verrà mai prodotto: comincia a fare esperienza. Dai piccoli rappresentanti “on de road” spesso amici, alle grandi griffe come Missoni o Erreuno. Non va bene per tutti, ha troppi capelli, troppe spalle, troppo seno, e troppi muscoli, anche in testa…comincia a selezionare. Sapendo praticare molti sport ed avendo un fisico atletico viene preferita spesso, per costumi da bagno abbigliamento sportivo, jeans. L’università le piace, ma non resiste ai viaggi di lavoro che le si presentano. Comincia a capire come funziona il mondo delle agenzie di pubblicità e di moda. La responsabilità, lo stare bene da soli, l’essere sempre con le valige in mano. Ma non le basta. Le capitano tra gli appuntamenti di lavoro i primi provini per la televisione e si accorge che le manca una base. Non basta sapersi truccare pettinare e sfilare. La dizione e la recitazione non fanno parte del suo lessico, ma conosce già l’improvvisazione e ha delle regole etiche interiori ben chiare. La famiglia c’è sempre, anche quando è lontana, i principi che ha imparato la guidano senza mai farle perdere l’orientamento. Attraversa il mondo, a volte fuorviante, della moda, con passo da bersagliere anche in passerella, tante tentazioni infelici le si parano davanti, ma lei guarda troppo avanti per esserne attratta. Le tante esperienze in ogni parte del mondo la arricchiscono molto sul piano umano, vive da sola in Francia, lavora Germania, gira gran parte dell’Italia e comincia a capire le persone a prescindere dalla lingua e dallo status sociale, riconosce ovunque quelli che assecondano lo stesso vento.
Nel suo primo provino in Rai incontra Enzo Tortora. Arriva in ritardo, perché sta lavorando e le dicono “ci spiace, ma hanno già scelto”, lei non si dà per vinta ed entra lo stesso spiegando le sue ragioni. Il tempo dell’orologio torna indietro. Convince Enzo della sua autenticità, e viene scelta, prima per la serietà, tra un centinaio di pretendenti: entra così a far parte delle mitiche ragazze di Portobello. Non è una velina, è assunta dalla Rai come telefonista, un nuovo mestiere, e a lei piace parlare con la gente. È l’unica del suo gruppo che presta davvero ascolto al telefono, cercando di risolvere le situazioni più toccanti si dimentica a volte di essere in televisione. Si accorge così che è molto difficile ignorare quel buco nero che ti guarda con gli occhi di tanta gente, ma che solo in quel modo si riesce a non essere condizionati. Giliola una collaboratrice di Enzo la prende in simpatia e un giorno le rivela che stanno cercando un’attrice giovane per un nuovo sceneggiato.
L’arte di credere prima del debutto in tv
Comincia per caso, che per lei non è un caso, a fare l’attrice. Una coincidenza Karmica, di quelle che quando ti capitano ti accorgi che con esse sta svoltando tutto il tuo futuro. Ci sono bugie che tradiscono la realtà, altre che la fanno sopravvivere, perché rivelano un modo diverso di vedere le cose. Eleonora ha iniziato a recitare con una bugia del secondo tipo. La domanda era semplice. Oltre il vetro dall’interfono il regista le fa: hai mai recitato…? No, era sola come di fronte al confessore, ci ripensa un attimo, poi aggiunge, ma nella vita capita, a volte, di dover recitare…”
Le veniva in mente una scena di pochi giorni prima, a casa, un ennesimo ritardo, per conquistare un po’ di autonomia per le sue storie di cuore, sempre molto vigilate dal padre. Si era presentata alle cinque di mattina… e aveva dovuto trovare un modo plausibile perché il padre potesse accettare l’avvenuto dal suo punto di vista, senza per questo tradire il proprio. Tra le cose che le avevano insegnato una recita “quando non puoi dire tutta la verità, fermati a quella che puoi raccontare…”
Quel mondo di realtà incompatibili lo aveva vissuto da sempre e per lei tutto poteva diventare compatibile, bastava avere molta fantasia.
Il regista insisteva “ad esempio…?” Recitò prima la scena del padre infuriato, che diceva di essere rimasto sveglio ad aspettarla tutta la notte, ma che lei aveva invece sentito russare da una finestra sul giardino per mezz’ora aspettando che si svegliasse per i colpi alla persiana e la facesse entrare. Fu comica anche la storia del fidanzato che doveva portarla in montagna alle sei, e che non voleva credere alla storia del colpo di sonno sull’autostrada e della conseguente sosta in corsia di emergenza nella quale aveva perso la cognizione del tempo, Anche la storia del treno che Eleonora aveva fatto involontariamente perdere al suo amico le offrivano eccellenti spunti di interpretazione. Non poteva lasciare un ragazzo che era venuto per lei da lontano, e a cui lei aveva fatto perdere il treno, solo, di notte, e alla stazione centrale di Milano, cosa gli sarebbe potuto accadere, lo avrebbe avuto sulla coscienza…?
Aspettare con lui il primo treno del mattino era il minimo che potesse concedergli. La storia risultò avvincente anche per il personale di studio, dai cameraman, al regista, cominciarono tutti a chiederle cosa fosse veramente successo quella strana notte… Eleonora aveva davvero interpretato una storia e dei personaggi che conosceva molto bene con autentica verità, le emozioni che erano emerse erano tutte autentiche e a fior di pelle, non aveva avuto bisogno di studiare la parte, era stata semplicemente Eleonora. Così ebbe la sua prima parte. Il problema che ancora non sapesse bene le differenze tra le “E” aperte e quelle chiuse, era secondario. Non era più la prima volta che lo svantaggio di un ritardo le permetteva di bruciare il tempo… Intuì che il valore delle cose è relativo e che comunque bisognava usare le proprie debolezze come punti di forza senza avere paura, senza cercare di nasconderli.
Non aveva tempo per le accademie, e preferì costruire da sola il suo programma di studio: recitazione, canto, mimo. Lezioni private, nei ritagli in cui non lavorava e non studiava all’università. Scelse la sua maestra, Narcisa Bonati, storica attrice del “Piccolo Teatro” una delle sue mete segrete, e cominciò a capire cosa voleva dire fare l’attrice, continuando a lavorare come modella. Imparava i monologhi guidando tra un appuntamento e l’altro, li ripeteva mentalmente mentre faceva foto o sfilava, aveva sei mesi di tempo prima che le riprese cominciassero. Aveva preso l’impegno di arrivare pronta, all’ultimo provino decisivo. Il regista Gianfranco de Bosio si era accorto che capiva e che era in grado di cambiare, il resto era solo questione di esercizio.
L’interpretazione della realtà, il teatro
Imparare a volare è utile per diventare attrice. La prima occasione per recitare in teatro ad Eleonora è infatti piovuta dal cielo. Un amico volovelista, capocomico della “Piccola Compagnia” di Monza, che aveva visto crescere Eleonora sui campi di volo, e che sapeva delle sue iniziali esperienze nel mondo dello spettacolo, le offrì la prima chance. Un’attrice della compagnia, era stata chiamata in tv, per uno sceneggiato e la parte della sposa, nelle “Nozze dei piccoli Borghesi” di Brecht, era rimasta scoperta. Quell’attrice si chiamava Maddalena Crippa, e avrebbe avuto, anche lei, un futuro nel mondo del teatro, ma non fu il suo nome, allora sconosciuto, ad attirare Eleonora, bensì il nome “minimalista” della compagnia. Quel “Piccola” le ricordava tanto il “Piccolo”, che per lei, come per tutti i giovani amanti del teatro, cresciuti a Milano, rappresentava la massima aspirazione artistica possibile: lavorare con Strehler nella compagnia del “Piccolo”.
La certezza che quell’inizio l’avrebbe portata dove lei voleva, glielo diede un’altra coincidenza, il regista dello spettacolo, Fabio Battistini, oltre ad essere terribilmente “assonante” con Battistoni, l’assistente storico di Strehler, che Eleonora incontrerà più tardi, era stato anch’esso “assistente” del Maestro. Il debutto di quel primo spettacolo nell’antico teatro della Villa Reale di Monza, appena restaurato, rivelerà a posteriori un’altra curiosa coincidenza. La terza figlia di Eleonora, definita scherzosamente l’attrice di famiglia, forse in virtù del nome scelto per lei. Si troverà per “caso” a nascere proprio a Monza. Eleonora sostiene che forse all’anagrafe hanno sbagliato a scrivere il nome, hanno usato due T? Avranno scritto Be-attrice invece del semplice Beatrice? Di fatto Monza, sembra per la seconda volta, aver influito sul destino “artistico” dell’unica della famiglia che sembra interessata a seguire le orme materne…. Tornando al teatro, non c’è il due senza il tre. Se avesse superato anche la seconda prova, di certo la terza sarebbe stata quella giusta…
Determinanti per la seconda occasione teatrale di Eleonora furono i “costumi” e la costumista… Pia Rame, sorella della altrettanto celebre Franca. La storica sartoria Rame, a Milano era in realtà un salotto culturale, nel quale s’incrociavano le strade che accomunavano per un attimo il mondo della televisione e del varietà con quello più aristocratico del teatro e del cinema. Prima o poi tutti quelli che lavoravano nello spettacolo in Lombardia, passavano da lei a cercare qualcosa…. Tra lustrini e costumi d’epoca, tra effluvi di Tea Rose, e tazze di tè fumanti, Eleonora era stata spesso a farsi consigliare da Pia per le sue presenze televisive e lei l’aveva presa in simpatia. L’aveva raccomandata ad un regista particolarmente estroso e autarchico, Carlo Rivolta, che aveva creato, grazie ad una profonda conoscenza del mondo poetico e dei testi sacri, un suo particolare stile scenico teatrale: la rappresentazione della poesia come “patchwork drammaturgico”. In quella seconda occasione nata tra abiti d’ogni epoca e stile, prendeva corpo per Eleonora in maniera prepotente, l’eterno dilemma pirandelliano dell’attore, la lotta tra identità personale e personaggio. Se gestire un singolo personaggio è ad ogni incontro con un testo, una lotta stimolante, per lei fu davvero uno shock trovarsi, ancora alle prime armi, a fare i conti con ben 23 personaggi in un colpo solo. Storie diverse, età diverse, ceti diversi, in un mondo fluttuante e decadente dove le donne uscivano dai fiori per trasformarsi in farfalle, l’apoteosi del trasformismo in nome di un’estetica che diventava unica sostanza, il tutto, in un atto unico alla Fregoli, dove gli abiti e i profumi scandivano il tempo. Il regista le proponeva di interpretare tutte le più famose figure femminili dell’album fotografico dell’immaginario di Guido Gozzano. “Le rose che non colsi”, così titolava lo spettacolo, erano infatti tutte le donne che il poeta non aveva avuto, quelle che aveva sognato, incontrato o semplicemente desiderato. Lo spettacolo sulla carta esisteva e c’era un cast d’eccezione Michele Placido, Fabrizio Bentivoglio e Gerardo Amato, fratello di Michele, che divisi in tre raccontavano i tre aspetti dell’unica personalità del poeta. Come sempre alle donne il lavoro più pesante…ma le ventitré parti non erano un la vera difficoltà da superare….il problema era un altro, e aveva poco a che fare con l’arte e l’interpretazione…. il regista voleva fare lo spettacolo, ma non aveva una lira.
In quell’occasione Eleonora dovette fare subito i conti con la parte più pragmatica della professione: le belle idee senza i mezzi, sono come una grande vela senza scafo…ovvero “l’arte è fatta sì di spirito, ma anche di “vile” materia”.
Le sue frequentazioni nella prima televisione commerciale italiana, dopo il felice debutto da attrice televisiva in RAI, le avevano già aperto gli occhi. A Canale 5, di cui in quegli anni Eleonora era diventata il Volto, non si faceva che parlare di soldi. Ogni incontro, convention, riunione, o programma, era imperniato sul guadagno. Le domande retoriche erano: quanta pubblicità poteva contenere e quanto fruttava ogni singolo progetto su cui si lavorava. Ovviamente Eleonora era costantemente coinvolta in tutte le circostanze ufficiali, che vedevano l’allora emergente Berlusconi, capace di contagiare con il suo entusiasmo e determinazione ogni componente della grande famiglia di Canale 5, fino a farlo sentire autorizzato a credere nell’impossibile.
La strana famiglia, con per Papà un futuro Presidente e per Nonno, il vegliardo Mike Bongiorno comprendeva, oltre alla squadra degli organici televisivi tra cui molti si stavano inventando un nuovo mestiere, uno squadrone di venditori di pubblicità disposti a tutto per vincere i premi produzione, e un Biscione, il fratellino piccolo di Eleonora. Tutti la consideravano per la sua giovanissima età, un po’ la Mascotte della rete, lei era sempre disponibile ad aiutare i colleghi d’azienda come testimonial o madrina ed era certa che per una volta loro l’avrebbero aiutata.
Quel tipo di credo aziendale, aveva involontariamente finito per contagiare anche lei che di fronte alla questione non ci sono soldi, aveva capito che si possono sempre trovare…. Fu così che da aspirante attrice teatrale, già emergente personaggio televisivo, decise di disegnarsi da sola anche il 24 esimo ruolo dello spettacolo: quello di produttrice.
In due settimane consegnò sulla carta al regista, basito e incredulo, 60 milioni di sponsorizzazioni delle vecchie lire, collezionando tre sponsor per giunta collegati abilmente al testo gozzaniano. Una ditta di spumanti Piemontesi, una di cioccolatini, che ispirata alla confetteria Baratti di Torino, citata più volte nei testi, e un profumiere internazionale che rese possibile un altro miracolo, sentire i profumi di tutte “le Rose” colte e non colte….
La questione merita un pizzico di attenzione. Carlo, il regista, in vena ispirata durante le prove, le aveva trasferito un altro suo sogno. Immaginava l’emozione di far rivivere veramente al pubblico, oltre alle parole ai gesti ai volti, agli oggetti, anche tutto quel mondo più sottile ed evanescente che nelle poesie prendeva corpo. Non solo quindi scene, luci, musiche, costumi, dettagli il regista avrebbe voluto evocare soprattutto quelle antiche fragranze di cui Gozzano non ometteva mai la presenza.
Eleonora ripartì alla carica l’idea di realizzare il primo spettacolo in Odorama della storia del teatro italiano, le sembrava una bella sfida. Puntò molto in alto e contattò una delle maggiori multinazionali dei profumi, la IFF. Fecero i test, scelsero le fragranze, stabilirono i punti all’interno del testo e calcolarono gli anticipi necessari perché l’effetto giungesse ai nasi del pubblico al momento esatto. Alla prima provò una grande emozione. Sentì il pubblico respirare la poesia, mentre dal fondo della profonda sala del Carcano di Milano, i profumi, come un’onda montante, arrivavano fino al proscenio, lavanda, vaniglia, glicine, e poi rose, rose fresche, rose sfatte, rose bianche… rose rosse…una vertigine di sensazioni e profumi che durò solo pochi giorni il tempo della vita di una rosa…
Una vita, quella breve di Gozzano, fatta di emozioni che si sommavano alla magia di quell’irripetibile spettacolo. Tutto fu magico. Anche il teatro fu trasformato per l’occasione in un gazebo di rose viventi. Il pubblico entrava in sala attraversando un prato d’erba vera, tra giochi d’acqua e in soli tre giorni molti lo videro più volte, era maggio 84, il mese delle rose….
Ma non c’è rosa senza spina e qualche sorpresa era in agguato. Nonostante il successo, il teatro sempre esaurito, e gli sponsor, Eleonora fece tutto quel che fece solo, per amore dell’arte… tutti i guadagni, affidati per la gestione ad un funzionario poco onesto del Comune, svanirono con lui, nel nulla… l’insegnamento era chiaro: se ami il teatro non farlo per soldi… sono cose che non si possono comprare.
Era importante quest’ultimo passaggio per prepararla al grande incontro con Strehler. Quando lui le scrisse un anno dopo Eleonora era la vedette del sabato sera su RAI UNO, non poteva aspirare a nulla più di quello e se non avesse saputo quali gioie nascondeva il teatro forse avrebbe considerato senza la dovuta importanza la proposta del Piccolo… ma a lei non accadde. Le sembro incredibile avere tra le mani una lettera scritta a mano che veniva proprio da Giorgio Strehler. Lui l’aveva vista in tv aveva sentito parlare del successo del Carcano e si era convinto che lei era la donna che ci voleva per lo spettacolo che stava preparando la grande magia di Eduardo. Eleonora lesse e non ebbe dubbi. Giorgio prudentemente le ricordava delle luci e ombre del teatro fatte di gioie e sofferenze ma lei ci era già passata convinta che il bilancio emotivo fosse senza dubbio in attivo. Si sentì chiamata e non era la prima volta aveva cominciato a capire come funzionavano le leggi del destino della sua vita lei doveva dichiarare sotto il cielo i suoi scopi e poi andare dove la corrente la portava le stelle avrebbero disposto…D’istinto, sul telegramma di risposta che mandò a Giorgio avrebbe messo il suo linguaggio militaresco e garibaldino “obbedisco”, ma si limitò ad un più discorsivo “voglio provare” non era certa che lui avrebbe capito…
Il debutto avvenne il 5.5.85, dopo Fantastico 5, con le 1960 rappresentazione della storia del “Piccolo Teatro di Milano”, il suo anno di nascita… ed Eleonora ne ha 25 di anni, fu certa che uno squadrone di Angeli aveva lavorato da tempo, dietro le quinte, solo per lei…
L’esperienza fu di quelle che fanno provare il sapore, la libertà di sperimentare altro di ciò che conosceva…